Quest’anno ricorre il 120°
della nascita di Fausto Ricci (1892-1964), il baritono
viterbese che tra le due guerre mondiali ha calcato i
palcoscenici di mezzo mondo. Il suo ricordo è ancora vivo
nella memoria della sua città natale.
Il Touring Club Italiano, tramite il console di Viterbo
Vincenzo Ceniti, ha promosso un “Omaggio” al celebre
cantante con la posa in opera di una targa-ricordo nella via
a lui dedicata (traversa di via I. Garbini) e un convegno
che si terrà il 24 marzo 2012 alle ore 17 nella Sala Regia
di Palazzo dei Priori. L’iniziativa si avvale del patrocinio
del Comune di Viterbo e della Provincia di Viterbo.
Fausto Ricci, si legge in alcune cronache locali, da ragazzo
aiutava il padre nell’impresa edile come stuccatore. La sua
voce imberbe ma robusta venne per caso ascoltata da
Francesco Marconi, un affermato tenore di quel tempo, che lo
avviò allo studio dalla contessa Giuseppina Vitali-Augusti
di Roma. Dopo aver interpretato nel 1916 Carlo V nell’Ernani
di Verdi al “Nazionale” di Roma, Ricci approdò nello stesso
anno al teatro “Costanzi” nelle vesti di Amonasro dell’Aida.
E fu subito successo.
La sua voce squillante e potente ebbe nel tempo autorevoli
estimatori fra cui Arturo Toscanini (“Ricci ha una voce
grandiosa e di una bellezza incomparabile”), Mattia
Battistini, Titta Ruffo ed Enrico Caruso che lo ascoltò nei
primi esordi. Convinti apprezzamenti vennero anche da
Mascagni e Serafini.
Dopo la prima guerra mondiale, rientrato dal fronte, venne
chiamato nel 1918 alla Scala di Milano per il Mosé di
Rossini e subito dopo per Aida e Andrea Chenier. Il
personaggio ormai c’era, anche perché curava molto la
recitazione aiutato dai consigli di talenti come Zacconi e
Ruggeri di cui s’era fatto amico. Grande prestanza scenica
quindi e, soprattutto, una voce che molti a quel tempo non
esitarono a definire “la più bella del mondo”.
Nel 1919 Ricci è alla “Pergola” di Firenze (Traviata) e al
“Teatro Nuovo” di Verona (Lohengrin). E poi il “San Carlo”
di Napoli, il “Comunale” di Bologna, il “Regio” di Torino,
il “Massimo” di Palermo. Nella sua città natale, sempre nel
1919, debutta all’”Unione” con il Faust. L’anno dopo è a
Bergamo e Siena. Ancora a Viterbo in un concerto per
beneficienza nel 1924 e nel 1938 in piazza del Plebiscito.
“Il Giornale d’Italia” di quel 3 settembre scriverà “….egli
seppe commuovere ed affascinare la folla che gremiva la
piazza, scatenando alla fine applausi entusiastici”.
Torna all’”Unione” di Viterbo nel 1939 per la Forza del
destino. E’ in questa occasione che riceve l’apprezzamento
più gradito e più ruspante. Dalla galleria del teatro vola
al suo indirizzo, in dialetto locale, la colorita
esclamazione “Ammazzete che pornelle”.
Chiamato all’estero, cantò nei principali teatri d’Europa
(Vienna, Berlino, Madrid, Londra) e dal 1924 al 1927 in
quelli dell’America Latina tra cui il prestigioso “Colòn” di
Buenos Aires dove interpretò Marcello nella Bohéme di
Puccini. Nella capitale argentina si esibì anche per
festeggiare il volo transoceanico di Francesco De Pinedo.Un
critico musicale argentino scriverà “…di fronte alla voce di
Ricci, quella degli altri cantanti non è adatta neppure a
chiamare un taxi all’uscita del teatro”.
Ricci non amava le opere comiche e per questo non ha mai
voluto cantare nel Barbiere di Siviglia. Preferiva le parti
forti e drammatiche come quelle di Verdi. . “Chi ha più
polvere spari” avrebbe detto al soprano Lina Pagliughi
dietro le quinte, prima di entrare in scena. Una volta gli
accadde di sopraffare volutamente un’altra voce. Raccontava
che durante una Traviata a Berlino, il soprano (una
finlandese) cercava di stancarlo obbligandolo a fare molti
giri sul palcoscenico; allora in un duetto sfoderò un tale
acuto da sopraffare la malcapitata rivale.
Ricci era un bell’uomo e quindi molto amato dalle donne. Una
volta fu assalito da una focosa principessa tedesca proprio
davanti alla moglie e per salvare la pace di casa non trovò
di meglio che fare in fretta le presentazioni. Così il suo
“Bitte meine Frau” mise subito all’angolo l’aitante
nobildonna.
Fu uno spirito libero, ribelle ad ogni sopruso e per questo
poco gradito al regime fascista. L’etichetta di antifascista
gli cadde però addosso per caso, in seguito al diverbio con
un impresario che voleva imporgli un contratto capestro. Al
suo rifiuto, come per vendetta, gli venne affibbiato il
marchio di nemico del regime.
Maggio 1944, località Pian di Tortora, immediati dintorni di
Viterbo.
“Sono il baritono Fausto Ricci ed ho un invito del
maresciallo Kesserling per un concerto alle forze armate
germaniche di stanza a Roma”. Esce dalla grotta dove era
nascosto con la famiglia e mostra il documento all’ufficiale
delle SS e all’interprete “Tu essere altro Fausto Ricci –
rintuzzano i due con fare minaccioso - tu non essere
baritono, fucilare, fucilare”.Vistosi perduto, Ricci,
malgrado l’emozione del momento, intonò a gran voce il suo
cavallo di battaglia, quel “Nemico della patria”
(dall’Andrea Chenier di Giordano) che proprio in Germania
gli aveva creato tanta popolarità, attribuendogli finanche
il titolo di “cantante di Dio”. E questo bastò per chiarire
l’equivoco.
La sua discografia non è assortita ma di grande qualità. I
suoi vinile sono molto ricercati dai melomani. Ha pure
prestato la voce al film “Fiori senza primavera” (1938)
ispirato alla vita di Johann Strauss..
Fausto Ricci ci ha lasciato anche un volumetto abbastanza
prezioso dal titolo emblematico “Come si canta”. Nell’ultima
stagione della sua vita dirigeva a Viterbo una scuola di
canto per indirizzare i giovani allo studio della lirica
“..la musica – diceva – è la voce dell’umanità, perl’elevazione
e l’affratellamento di tutti i popoli…”.
(Appunti di Vincenzo Ceniti)