[...] La fotografia di
Franco Belsole è un campionamento della realtà,
un documento oggettivo come attestazione
dell'esistenza dell’umano, la prova
dell'effettivo verificarsi di certi accadimenti
nelle loro infinite variazioni. Ciò a cui le
foto rimandano è l’individuo assolutamente
ordinario, quotidiano, che si confonde col
comportamento degli individui che vivono nelle
grandi città all’interno di un habitat in
continua trasformazione. L’artista registra
fedelmente la futilità dell’evento individuale
in mezzo al moto incessante delle moltitudini
che affollano i percorsi urbani, con lo sguardo
allontanante dell’indagine scientifica di un an
tropologo che si disponga
ad osservare il comportamento di una tribù
primitiva. [...]
Le foto di Belsole
rinunciano alla fissità dei luoghi urbani da
sempre fotografati vuoti di persone,
riempiendosi di folla in movimento sotto una
lente ravvicinante, che contribuisce a
destrutturare lo spazio per poter documentare
l’evento in maniera anonima. [...]
Le città che fanno da
sfondo e da contenitore indifferenziato di una
fauna umana che ha
perso le radici di
appartenenza, non sono riconoscibili
se non per qualche
dettaglio.
L’operazione di
delocalizzazione degli avvenimenti urbani
rimanda alle fotografie di Gursky sulle
periferie delle grandi città, riprese lonta no
dai loro punti di riferimento identificativi,
che non sono riconoscibili nemmeno tramite il
titolo della foto. Le fotografie di Belsole non
hanno bisogno di periferie per trasmettere il
senso del “non luogo”, ma documentano la perdita
d’identità anche nel tessuto urbano più
qualificato dei grandi centri...[...]
Mario Pepe