SAFARI  di Antonia Brancati  - regia di Anna Proclemer                                         FOTO  

 scene e costumi di Alberto Verso - musiche Arturo Annecchino - luci Stefano Pirandello

 con MARIA ROSA CARLI - LORENZO GIOIELLI - PIER LUIGI MISASI - BARBARA TERRINONI 

 FRANCESCA DELL'INNOCENTI

 Teatro Mancinelli 1/2 novembre 2003 - presentato da Pier Luigi Misasi e Barbara terrinoni per

 Produzione Teatrale Osi 85

"Safari" è una commedia di prosa di respiro internazionale, atta a promuovere la prevenzione la cura e la lotta contro il tumore mammario. Lo spettacolo debutterà a Roma, in prima nazionale al teatro Argentina, il 6 giugno 2003 nell' ambito di una serata speciale offerta dalla stessa ANDOS per la solidarietà , per poi proseguire in Tournee nelle principali città italiane. Inoltre, lo spettacolo sarà rappresentato a Parigi alla Comedie des Champs Eliseè all'interno della rassegna promossa dall'Ente Teatrale Italiano "Theatre des italienès".
 
Cinque italiani in vacanza. Due coppie: Marco e Isabella, giovani trentenni - lui bello e tormentato, lei ossessionata da pratiche new-age e meditazioni trascendentali - e Giorgio e Silvia, più maturi - lei un ex-stella cinematografica, ancora bella e desiderosa di sedurre, lui un "commenda" ricco e poco incline a divertimenti vacanzieri. Con loro, una giovane donna, Anita, dall'aria apparentemente autonoma ed efficiente. Una vacanza iniziata all'insegna di aspettative da depliant pubblicitario delle agenzie turistiche: "Regalatevi un'avventura! visitate in jeep la savana africana!". Ma piuttosto che un viaggio avventuroso, ma tutto sommato comodo e sicuro, i nostri si ritrovano impantanati nel bel mezzo della savana, abbandonati dal loro conducente che si è dileguato in cerca di soccorsi, e circondati dalle bestie feroci, non più oggetto di stupefatta ammirazione dal riparo della jeep, ma pericolo reale e tangibile. Mentre cala la notte, e sempre più incerta appare la conclusione, i nostri non smettono di chiacchierare, di scherzare, di comportarsi come se si trovassero all'interno di un salotto borghese. Nel corso di questa interminabile giornata, dal finale "aperto", le coppie si scompaginano e si ricreano in modi inaspettati, e i segreti di ognuno vengono impietosamente alla luce. Questa in sintesi la trama di Safari, di Antonia Brancati. Il testo utilizza tutte le strutture tipiche della commedia - battute e situazioni fulminanti, continui piccoli colpi di scena - per creare una sottile e profonda trama di relazioni tra i personaggi. Lentamente, man mano che la consapevolezza della pericolosità della situazione si fa strada nelle coscienze, i personaggi calano la maschera e rivelano i loro sentimenti più autentici e le verità più nascoste. Il finale è volutamente lasciato aperto, non sappiamo cosa succederà ai cinque. Riusciranno a sopravvivere? O verranno divorati dal leone, il cui ruggito percepiamo in lontananza sul finale? Il testo dà voce e corpo a temi universali con una scrittura apparentemente leggera, utilizzando al meglio gli stilemi di un certo teatro di matrice anche anglosassone - Ayckbourne, Frayne - e disegna personaggi del tutto verosimili nei loro risvolti psicologici. Dal punto di vista della messa in scena, appare chiaro che la savana è un po' - senza voler eccedere in indagine psicologica- un luogo metaforico "altro" nel quale si mettono in gioco le relazioni tra gli esseri umani. Senza la protezione del "salotto borghese", del quale all'inizio i cinque riproducono in modo ossessivo le convenzioni e i tic, le persone si rivelano per quello che realmente sono, in tutta la loro fragilità e nudità. I cinque aspettano, aspettano che improbabili soccorritori arrivino a salvarli. La scansione del tempo che passa, data dal caldo asfissiante, dal sole torrido dell'inizio, e dal freddo della notte, scandisce anche l'interminabile attesa dei personaggi, beckettianamente quotidiani. Riempiono il tempo con gesti superflui e ridicoli, nell'attesa di un qualcosa che, man mano che scorrono le ore, diventa sempre più misterioso. Il contrasto tra azioni apparentemente futili, leggere, e la natura, sempre meno benigna e sempre più minacciosa e ostile; tra una conversazione apparentemente sciocca, e il reale pericolo che incombe, rende il senso di inquietudine che attraversa in sottofondo il testo. Un'inquietudine che non è solo dettata dalle circostanze, oggettivamente scabrose, nelle quali il gruppo si trova, ma che sta come metafora di una più ampia inquietudine del vivere, spesso occultata nel quotidiano da atteggiamenti superficiali e vacui.
 
Mi stavo proprio curando del mio "male incurabile" (una contraddizione in termini di cui ero in grado di cogliere tutta l'ironia) quando mi è capitato di leggere un articolo di giornale riguardante le cinque fasi - o stati d'animo - che vengono necessariamente attraversati da coloro a cui è stato diagnosticato un cancro: incredulità, certezza di farcela, rabbia, disperazione, e rassegnazione. All'epoca avevo già provato tutto - fino alla rassegnazione, per poi tornare caparbiamente alla posizione al punto due: ovvero alla certezza che ce l'avrei fatta. Quando, a qualche anno dal "male incurabile" mi accinsi o scrivere Safari, sulla base di un'avventura, totalmente autobiografica: dall'impantanamento nella savana, con la guida che si allontana a piedi con machete e carta igienica, all'avvistamento di una motoretta che in realtà è un leone, mi resi conto che quelle famose cinque fasi le avevo già provate di volata nella giornata di quell'avventura - e decisi che quei passaggi da uno stato d'animo all'altro sarebbero stati la struttura portante del mio lavoro di drammaturga. Un personaggio - Anita - rappresentava quella che avrei potuto essere se il cancro al seno mi avesse colpita senza che al mio fianco ci fosse un uomo amorevole e forte. Forse, nella condizione di Anita, e cioè con un uomo pavido e annichilito in fuga da me, anch'io avrei rifiutato qualsiasi ricostruzione, e mi sarei tenuta la mia menomazione nella speranza (o nell'illusione?) che tagliato via un seno avrei azzerato anche i miei impulsi sessuali e affettivi. Anita, comunque, è fra tutti i personaggi il più disincantato e positivo: ha perso l'illusione di essere immortale ed ha deciso di godersi la vita quanto più le è possibile. La capacità di fare bilanci, riadattare i fini ai propri mezzi, non rinunciare ai propri interessi, vivere la vita consci della presenza della morte, è del resto un dono del cancro - l'unico fiore da cogliere e da preservare nella guerra nucleare contro questa malattia.
 

Antonia Brancati

Il sito è ottimizzato per Internet Explorer versione 4 o successiva - Risoluzione consigliata 800x600, caratteri medi

Copyright © FOTOVIDEOLAB di Riccardo Spinella - Tutti i diritti riservati - Listino prezzi

 

=---MOTORE---=    di ricerca interno

 - Web Master

 FVL