Il padre era muratore e la madre
lavandaia. Ancora bambino, la famiglia si trasferì a
Napoli in cerca di lavoro, e il padre dopo pocotempo
morì in seguito ad un infortunio occorsogli durante
la costruzione del Palazzo Reale di Campodimonte.
Ridotta in povertà, la madre mandò il
figlio Domenico a vivere coi padri conventuali al
Pendino dove ricevette le sue prime lezioni di
musica.
Dimostrando una particolare
inclinazione per la musica, venne inviato nel 1761
al conservatorio di Santa Maria Loreto, con
l'obbligo di rimanervi dieci anni.
Ciò escluderebbe che Cimarosa abbia
studiato con G. Manno e A.
Sacchini in quanto questi maestri
lasciarono il conservatorio rispettivamente nel 1761
e nel 1762 proprio, cioè, quando egli vi entrò.
Si sa che i suoi principali
insegnanti furono P. Gallo, F. Fenaroli e S.
Carcajus, e che si perfezionò in violino, in
clavicembalo, in organo e
soprattutto in canto.
Cimarosa iniziò a comporre mentre era
ancora studente e i suoi primi saggi furono alcuni
pezzi religiosi, fra i quali vanno ricordati due
mottetti a quattro voci con strumenti, che portano
la data 1765, attualmente conservati nella
Biblioteca del conservatorio di Napoli.
Uscito dal conservatorio all'età di
22 anni, ebbe subito la fortuna di incontrare una
protettrice nella persona della signora C. Pallante,
una nota cantante trasferitasi a Roma.
Probabilmente, grazie all’influenza
di C. Pallante, Cimarosa ricevette la commissione
per due lavori per il carnevale del 1772 al teatro
dei Fiorentini.
Tali opere, Le stravaganze del
conte e la farsa
Le magie di Merlina e
Zoroastro,
non furono bene accolte dal pubblico, e secondo F.
di Villarosa, "La musica, per essere d'un
principiante, fu compatita, tanto più che la poesia
era ben cattiva".
Ma nel carnevale dell'anno
successivo, al Teatro Nuovo, il giovane compositore
ottenne un gran successo con La finta parigina
e si trovò subito in concorrenza con i più
grandi creatori dell'opera buffa, sia con Piccini,
P. Anfossi, P. A. Guglielmi, della generazione più
vecchia, sia
con Paisiello e G. Insanguine, le cui
opere venivano rappresentate nei teatri di Napoli da
una decina d'anni.
Per il carnevale del 1776, scrisse
I sdegni per amore unitamente alla famosa I
matrimoni in ballo e il successo fu tale che
ambedue furono rappresentate per i sovrani nel
teatrino di corte la sera del 13 II 1776.
A questo punto da sua fama era
talmente aumentata che gli fu chiesto di recarsi a
Roma per scrivere il primo dei molti intermezzi per
il teatro Valle, I tre amanti, poi nuovamente
rappresentata la primavera successiva al teatro
della Pergola di Firenze.
Il 27 IV 1777 Cimarosa sposò la prima
figlia della signora Pallante, Costanza; qualche
anno dopo, in seguito alla morte prematura di
Costanza, ne sposò la sorella, Gaetana.
Il nome di Cimarosa si affermò in
tutti i maggiori centri musicali d’Italia dopo il
trionfo dell'Italiana in Londra,
rappresentata per la prima volta al teatro Valle nel
carnevale del 1779, e poi replicata con successo al
teatro Carignano di Torino nell'autunno del 1779 al
San. Mosè di Venezia nell'autunno del 1780, e il 10
luglio dello stesso anno alla Scala di
Milano.
Nelle sue opere buffe Cimarosa sviluppò il ruolo
dell'insieme come elemento strutturale e drammatico,
non solo con l'uso di finali lunghi e ad effetto (Villarosa
sostiene che il successo dell'Italiana in Londra
fu dovuto a intrigati e lunghi finali), ma
mediante l'inserimento di altri insiemi all'interno
degli atti. Egli fu un maestro degli insiemi
brillanti che, oltre ad essere musicalmente
deliziosi, hanno una funzione precisa nel portare
avanti l'azione.
Come esempi sarà opportuno citare il trio dal
Matrimonio segreto, nel quale Elisabetta e
Fidalma cercano di convincere Geronimo che Carolina
dev'essere allontanata (Cosa farete?), e il
quintetto dall'Impresario in angustie di cui
si è già riportata la descrizione di Goethe. Le
prime opere serie di Cimarosa si attengono
strettamente alla forma tradizionale dell'opera "da
virtuoso", alternando recitativi ad ampi da capo,
caratterizzati da lunghi ritornelli e da
un'elaborata coloritura.
Con L'Olimpiade, tuttavia, Cimarosa trasporta
nell'opera seria il finale d'insieme dell'opera
buffa per dare alla prima una conclusione più
efficace.
In Cleopatra e La vergine del sole
scritte per la corte russa nel 1789, il ruolo del
coro viene ampliato e meglio integrato e questa
tendenza si evidenzia soprattutto nel capolavoro
Gli Orazi e Curiazi (1796) e che, con le sue
scene corali e le linee vocali tanto contenute da
essere quasi austere, richiama da vicino la tragedia
lirica francese.
Le opere serie composte negli ultimi anni della sua
vita come Penelope (1794) e Artemisia
(1801), sono degne di nota per la libertà
strutturale che si osserva nelle arie e nelle grandi
scene d'insieme nelle quali arie, arioso, recitativi
e cori sono spesso combinati in modo assai fluido.
Sfortunatamente le opere serie di Cimarosa, pur
contenendo momenti di grande bellezza e forza
drammatica, soffrono di notevoli squilibri e non
mantengono costante quel livello musicale e
drammatico presente nelle sue opere buffe.
Nel XIX secolo, gli arciromantici come Berlioz e
Schumann trovarono noiosa e banale la musica di
Cimarosa, mentre altri continuarono ad apprezzarla.
Primo tra questi ultimi Stendhal per il quale "in
Cimarosa tutto era divino" fino al punto che vivere
in Italia e ascoltare la sua musica diviene
l'obiettivo immediato dei suoi pensieri.
Ma la musica di Cimarosa suscitò l'ammirazione di
due giganti dell'opera italiana del XIX secolo:
Rossini, che considerava Le trame deluse il
suo capolavoro e Verdi che descrisse Il
matrimonio segreto "La vera commedia musicale
che ha tutto quello che un'opera buffa deve avere".
In occasione di una brillante ripresa del
Matrimonio segreto, il famoso critico E.
Hanslick disse: "Piena di sole, ecco la giusta
definizione della musica di Cimarosa". Oltre al
Matrimonio segreto, nel presente secolo sono
state riprese molte altre opere di Cimarosa.
IL MATRIMONIO SEGRETO
LA TRAMA
Il matrimonio segreto è quello contratto da un
giovane di negozio (Paolino) con la figlia del
padrone (Carolina).
Il padre Geronimo, ricco mercante, smania di
meritare le due figlie ad altrettanti titolati,
cominciando dalla primogenita (Elisetta), per la
quale ha già combinato le nozze con il conte
Robinson, dietro promessa di una lauta dote.
Può dunque annunciare tutto trionfante alla famiglia
l'accordo concluso ("Udite, tutti udite") e
rassicurare Carolina che anche per lei arriverà il
momento di sposare un aristocratico.
Giunge frattanto il conte Robinson e subito lascia
intendere di essere più attratto da Carolina che
dalla sposa, suscitando lo sconcerto degli astanti
(quartetto "Sento in petto un freddo gelo").