"Passeggiata alla
Mazzetta" Viterbo
domenica 21 marzo 2004
1-2
Iniziativa del
coordinamento cittadino "Salviamo l'Arcionello"
Testi di
Antonello Ricci
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TusciaWeb
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Comunicato Stampa
Viterbo, domenica 21 marzo 2004
Almeno
cento persone hanno partecipato oggi all’annunciata passeggiata alla
Mazzetta, organizzata dal locale comitato cittadino. L’obiettivo è,
ancora una volta, quello di riscoprire insieme e di persona, un ambiente
naturale che, pur essendo dentro la città, è incredibilmente scampato
alla distruzione.
Il
torrente Mazzetta, come l’Urcionio, il Respoglio, il Roncone, alimentava
con le sue acque la città e, in essa, le innumerevoli attività grazie
alle quali la Viterbo medievale vantava ricchezza e prestigio. Le
numerose fontane del centro storico danno ancor oggi testimonianza di
una “città delle acque” di cui s’è quasi perso il ricordo.
La
Mazzetta conserva caratteristiche ambientali di eccezionale interesse
ma, oltre la bellezza della forra, offre a chi ha occhi attenti e voglia
di osservare, innumerevoli tracce della gestione e canalizzazione delle
acque. Lavori in cui, i nostri progenitori, ponevano una cura a noi
sconosciuta. Il percorso del semianello, progettato decenni fa, rischia
di fare un immane scempio di tutto ciò.
Per
questo la passeggiata di oggi, organizzata dal Comitato “Salviamo la
Mazzetta” e voluta da molti abitanti della zona.
Il
Coordinamento "Salviamo l'Arcionello”, ha condiviso, aderito e
rilanciato l’iniziativa. Non più solo l’Arcionello, dunque. La
memoria della città è in tutto ciò che, rimasto miracolosamente
intatto, abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli.
Per il
Coordinamento Cittadino "Salviamo l'Arcionello”, Pierluigi Ortu |
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LA NOSTRA BATTAGLIA: UN GRANDE PARCO DELLE FORRE VITERBESI
di
Antonello Ricci
Prima
l'Arcionello. Ora Respoglio e Mazzetta. Questa Città ha scoperto una
voglia irrefrenabile di ritrovare i propri luoghi e, con essi, la
propria storia. Passeggiando. Raccontando.
Qualcuno storce il naso: "i Viterbesi si
muovono solo quando gli tocchi il loro orticello"… Voglio essere
provocatorio: ben venga l'egoismo, se tappa verso una più alta maturità
civica.
L'immagine dell'orticello: proprio i
nostri antenati, gli ortolani del Respoglio medioevale, ci offrono un
esempio su cui riflettere. Essi, infatti, partiti da un'esigenza
concreta - spartirsi le acque del fosso per l'irrigazione - riuscirono a
superare le dispute particolaristiche approdando alla consapevolezza
d'un Bene Comune. Quella "ruota d'irrigazione", elaborata per esperienza
e consuetudine secolare, assunse poi dignità di Legge nel prezioso
Statuto Comunale del 1251: Che dall'ora nona del venerdì all'ora nona
del giorno seguente la detta acqua sia divisa per gli orti di Respoglio
e Graziano…
Si tenga anche presente che quella stessa
acqua - a disposizione degli ortolani per circa tre giorni - doveva
rientrare nel letto del fosso e lì scorrere per il resto della
settimana, destinata alle pale degli opifici dislocati a valle:
Aggiungiamo alle cose sopra dette che dall'ora terza del lunedì la detta
acqua ritorni libera ai molini… Anche l'egoismo dei mugnai, dunque…
(Viene da sorridere se pensiamo a certe riunioni condominiali dei giorni
nostri).
Quella stessa acqua è ancora oggi
metafora splendida e attuale d'un possibile Bene Comune. L'acqua, che
tutti invocano come bisogno e come diritto. L'acqua, di tutti e di
nessuno. L'acqua, che fa sosta nei singoli orti, li irriga e benefica,
ma poi riprende il cammino, per seguire la propria inclinazione
naturale...
Le forre di Respoglio, Luparo-Arcionello,
Mazzetta e Roncone disegnarono il profilo stesso della Viterbo
medioevale. Oggi esse rappresentano la trama naturale di quei "corridoi
ecologici" sulla cui valorizzazione di recente hanno insistito i
cosiddetti "saggi" nelle loro Linee d'Indirizzo per il futuro Piano
Regolatore di Viterbo.
Per quanto sporche e abbandonate, queste
forre ci parlano ancora delle nostre radici. Esplorandole, è
possibile ritrovare le acque della nostra memoria e identità civica. E
in questo senso non c'è differenza tra un manufatto antico e una
modesta, arrugginita chiusa di ferro degli anni '50 o una gora d'inizio
Novecento con la sponda di peperino picchiettato o un bottino del tipo a
casetta di fine '800 (manufatti di cui queste gole sono costellate).
Tutto ciò che ci ricorda le nostre umili origini è prezioso per un
futuro a dimensione umana.
Per questo bisogna lottare: per salvare i
fossi viterbesi dal rischio d'una imminente cancellazione, da inutili
palazzi, svincoli e bretelle, da un cemento egoista e stupido.
Dall'urbanistica dell'asino (Le Corbusier). Riconquistarli alla vita
quotidiana. Passeggiando. Raccontando. Perché anche chi verrà dopo di
noi ha diritto a radici salde e felici. |
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VITERBO BRUGES ITALIANA: PER UNA MEMORIA D'ACQUE
di
Antonello Ricci
Recidere. Imbalsamare. Prigionieri d'un
passato fin troppo illustre. O d'un futuro anonimo. Il tempo, invece,
noi vorremmo trasformarlo. E trasformare vuol dire ricordare.
Viterbo fu una Bruges italiana. Un
tripudio d'acque, utili e belle, fino a tempi recenti. Anche se
l'esiguità delle sorgenti ha provocato qualche confusione negli storici
locali, le carte del Catasto Gregoriano parlano chiaro. Quando ancora
era visibile la vasta trama di rivi e rivoli preparata a monte dalla
natura e presto imbrigliata dall'uomo. Quattro fossi nel centro della
Città e una fitta rete di canali artificiali ancora attivi al tramonto
del XIX secolo. A prosciugare questo sistema avrebbe pensato
l'accelerazione del secondo Dopoguerra con la disordinata espansione
urbanistica che rese presto illeggibile la forma del territorio,
appiattendo e intubando ovunque. Un passato così prossimo ma già così
remoto. Proprio gl'istanti che seguono un'amnesia sono i più pericolosi.
Si crede che il passato non sia mai esistito. E ogni futuro legittimo.
Oggi, in questa Città, solo lapsus impercettibili di ciò che fu. Una
lega ridotta a fontanella condominiale. Una mola confitta a terra in un
giardinetto. Qualche insensato fossile toponomastico: via delle Mole e
della Molinella, piazza del Fosso.
L'altro giorno, in cerca di questa trama
sfilacciata, passeggiavo. Da porta S. Pietro su verso le Pietrare, la
vecchia strada Sammartinese, la Grotticella, la torre di S. Biele.
Dappertutto rami secchi di quella rete che fu orgoglio e vanto del
Libero Comune fin dal Medioevo. Muri dai bei conci squadrati, leghe,
spartitoi con chiuse in ferro, alvei di conduzione. Tracce cospicue e
diffuse di un ordine antichissimo. Quelle acque cantano ancora. Basta
ascoltarle. Magari un varco arrugginito in una recinzione.
Un'immagine-simbolo: il ciclopico
acquedotto voluto da Raniero Gatti nel 1268 per derivare le acque dal
Roncone fin sulla loggia di Palazzo Papale. Laddove esso varcava le
mura, presso porta Fiorita, un aereo arco-ponte cavalcava la ripida gola
del fosso S. Pietro. Acque su acque. Autostrade d'acqua. E quanto
correvano lontane! Quelle della Mazzetta, per esempio, fino alla fons
Plani Scarlani… et quod liceat planensibus aquam Mazecte ducere vel duci
facere ad fontes ipsorum… È sorprendente la saggezza con cui i nostri
avi gestirono questa risorsa. Si arrivava a spartire un sedicesimo
d'alveo. Tramite apposite fistulae i privati attingevano ai condotti. Ma
assumendo oneri di pagamento, migliorìa e riparazione. E mai prima di
pubbliche fontane fontanili lavatoi. Secondo il naturalissimo principio
del ricasco. Così, dopo varie peripezie, l'acqua della Mazzetta sgorga
giù a Faul, al fontanile del Pubblico Macello.
Tempo fa ho fatto anche un giro per
sorgenti. Sette Cannelle, Monte Pizzo, Ontaneto. Sognavo un sentiero dei
bottini: quelle case-serbatoio sono un bignami di architettura. Ma a un
certo punto, inatteso, il ricordo d'un bacio. Caldo e innocente. Di
tanti anni fa. Poi una casa in curva, accanto a quell'amore. Dietro il
casale, lo scroscio potente, il rimbombo d'una cascata, oggi muta. E ho
ricordato nonna Lina, che la cura amorevole dei figli a un certo punto,
con l'avanzare degli anni, esiliò dalla casa-molino in un più comodo
appartamento in via Torre di S. Biele. Lei, che in quel casale aveva
speso i suoi anni più belli di moglie madre nonna. La sua stessa vita.
Non durò molto. |
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