"Passeggiata alla Mazzetta"  Viterbo domenica 21 marzo 2004                     << 1-2

Iniziativa del coordinamento cittadino "Salviamo l'Arcionello"

 Testi di Antonello Ricci                                                                              altre notizie su TusciaWeb

Pinzi 1887: Queste discipline sulle acque d'irrigazione, che durano con lievissime modificazioni anch'oggi tra noi, rimontano a tempi cotanto remoti…

 

Carta Idrografica 1901: Non si può ricercare la forza sviluppata [dagli opifici] perché alcuni lavorano a unghe intermittenze, altri soltanto di giorno e pochi con le sole interruzioni dipendenti dall'irrigazione.

 

Raniero Gatti 1268:

Papalis origine fontis

fecit aqueductum

loca per declivia ducutm

indole cum dextra factum

sic intus et extra.

 

Fece fare questo acquedotto per alimento della fonte papale, tratto da poggi declivi, con grande abilità costruito sia dentro sia fuori le mura della Città.

 

Sectio Tertia - extraordinaria: 1. De reaptatione fontis Plani Scarlani.

… Et quod liceat planensibus aquam Mazecte ducere vel duci facere ad fontes ipsorum…

ARCIONELLO: LA BATTAGLIA CONTINUA

di Antonello Ricci

 

Intervento in rappresentanza del Coordinamento "Salviamo l'Arcionello" al III Convegno di Studi sui Centri Storici della Tuscia: "Giardini storici e parchi suburbani", organizzato dall'Università di Roma "La Sapienza", dal Museo della Città e del Territorio, dall'Ass. Storia della Città e dalla Ass. Dimore Storiche Italiane sz. Lazio presso l'Aula Magna della Facoltà di Architettura "Valle Giulia", Roma - Venerdì 20 febbraio 2004.

17 luglio 2003: il Comune di Viterbo approva un Programma Integrato per il recupero urbanistico della valle dell'Arcionello. Numerose associazioni riunite nel Coordinamento "Salviamo l'Arcionello" danno il via a una protesta sorridente, inedita per la città. Tale protesta, affiancando ai più tradizionali dibattiti uno studio rigoroso del territorio e la novità di passeggiate-racconto e fanta-escursioni per ragazzini,1 riscuote ampi consensi e notevole risonanza sui mass-media locali. Ai primi di ottobre arriva il congelamento del Programma, poi, a distanza di 5 mesi (gennaio 2004), il suo ritiro e la contestuale presentazione di un progetto rimodulato, certo meno invasivo del precedente. L'evoluzione della vicenda, seppur provvisoria, segna una vittoria forse senza precedenti nella vita della città. Anzitutto perché il nuovo Programma prevede 20.000 mc in meno rispetto ai 154.000 iniziali. Poi perché la rimodulazione degl'interventi ha dovuto rispettare il vincolo d'inedificabilità sul corso d'acqua che solca la valle. Ma soprattutto perché è stato il Comune stesso a richiedere più spazio per il verde pubblico nel nuovo Programma: tanto che adesso di parchi se ne promettono ben due. I Viterbesi hanno quindi scoperto che si può incidere dal basso sulle decisioni del Comune. Che nel Far-West della speculazione si può ristabilire almeno il rispetto della legge. E ora sognano un parco per Viterbo. Un vero Parco.

L'Arcionello è una suggestiva forra disegnata dal fosso Urcionio e circondata da pareti a picco di peperino, pietra vulcanica locale. Poche centinaia di metri a monte delle mura dell'XI-XIII secolo. Si tenga presente che proprio l'Urcionio, che oggi scorre intubato sotto la città, definì col suo andamento il profilo della Viterbo medioevale. Lambito appena dall'espansione urbanistica degli anni '60-'70, per qualche capriccio del destino l'Arcionello fu risparmiato dagli appetiti del Godzilla palazzinaro. Oggi è una singolare enclave campagnola assediata da brutti edifici, un buco nero dimenticato in pieno centro urbano. Manti di rovi e ortiche impenetrabili, sentieri interrotti, canneti e orti in via di abbandono. Si sa, l'abbandono produce degrado. Poi le puntuali invocazioni alla dea Igiene. Ed ecco che le ruspe sono tornate. Vorrebbero finire il lavoro.

Il paesaggio dell'Arcionello non è solo natura (comunque secolarmente antropizzata). Risalendo di poco il fosso, dove la valle si stringe, affiorano lungo le prode cospicue tracce di opere per la canalizzazione delle acque (salti con deviazioni, tratti di acquedotto) e resti di opifici archeoindustriali: almeno un "molino diruto" e una cartiera. Alcuni fra questi manufatti potrebbero appartenere al XIV secolo. Più a monte, cave abbandonate, segno di attività estrattive antiche e recenti. Durante la battaglia ci siamo spesso chiesti: Viterbo è piena di monumenti in grado di illustrare la sua antichità, perché tanto accanimento per "quattro sassi"?

Una prima risposta potrebbe essere "filologica": in essi ritroviamo l'ultima pagina leggibile della storia economica di Viterbo, un rapporto ergologico col suburbio instaurato dal Comune medioevale e prolungatosi pressoché inalterato fino al XX secolo. Insomma, Arcionello come luogo della memoria e dell'identità civica. La battaglia ha restituito alla consapevolezza della città un pezzo importante della sua biografia. A partire dal nome stesso, sconosciuto alle ultime generazioni: già per quelli della mia età "Arcionello" era solo il nome di una pizzeria. E quanti Peter Pan cinquantenni hanno rivissuto le scorribande di un tempo lungo le cascatelle dell'Urcionio! Una volta di più con Pasolini: difendere questo passato senza nome, umile e popolare. Difenderlo dall'omologazione presente.

Proprio le rovine di cui parliamo, però, corrono oggi il rischio più grave: non ricadendo infatti nelle aree direttamente interessate dal Programma Integrato (i proprietari non vi hanno aderito) esse non potranno essere incluse nei parchi attualmente promessi dal Comune. Così indifese e dimenticate, finiranno certo consegnate a inevitabile, definitiva cancellazione.

Sarebbe una ragione già abbastanza forte, ma c'è di più. A un livello che potremmo definire "antropologico", ci viene in soccorso Marc Augé col suo recente libro Rovine e macerie. Il senso del tempo.2 L'etnologo francese dialoga con Camus a Tipasa e Gide in Congo.3 Il fascino dei ruderi romani per l'uno, quello di fortezze e villaggi abbandonati nell'Africa Nera per l'altro. A me sembra che parli anche dell'Arcionello. Più che restituire un passato storicamente definito, secondo Augé le rovine salvano il paesaggio circostante dall'indeterminatezza d'una natura senza uomini, aprendoci così all'esperienza di un tempo puro. Ma non come fuga dalla storia. Perché "mentre tutto concorre a farci credere che la storia sia finita e che il mondo sia uno spettacolo nel quale quella fine viene rappresentata, abbiamo bisogno di ritrovare il tempo per credere alla storia." E chiosa: "questa potrebbe essere oggi la vocazione pedagogica delle rovine".4

Augé ricorre a una metafora psicoanalitica: le rovine sono come un ricordo senza passato. In quanto tale, condiviso. Tema importante, perché proprio su un colpevole oblio (rimozione collettiva) sembra fondarsi tutta la storia recente del nostro Paese.

In questo senso il destino dell'area dei manufatti dell'Arcionello è un caso clinico. Una vicenda che parte addirittura dai tempi della stesura del PRG degli anni Settanta. Un'amnesia progressiva, fatta di imprecisioni e omissioni amministrative, per cui nel novembre 2003 il Comune è sul punto di rilasciare licenza edilizia per una palazzina di 1500 mc da tirar su al posto della già citata cartiera (manufatto del '600, nelle schede del PRG i suoi resti erano stati definiti "di notevole interesse"). E a pochi metri dal letto del fosso. Non fosse per la fortunata coincidenza di tempi e luoghi con la più generale battaglia per l'Arcionello, a quest'ora il cantiere sarebbe già inaugurato. Tutto fermo, con la magistratura al lavoro, ma ci si chiede quanto potrà durare. La cartiera, comunque, non è più in piedi. Sepolta viva da un mare di sterro, versato non si sa quando né da chi. Vero e proprio caso di killeraggio urbanistico.

Il circolo vizioso, sempre uguale: naturale declino produttivo e abbandono di un sito, sua marginalizzazione urbanistica, degrado progressivo, invocazioni di recupero come legittimazione per nuovo cemento. Questo progresso: una strada dritta e senza fine. Storie d'Italia. Il palazzinaro Aldo Fabrizi in C'eravamo tanto amati e il cinismo del giovane Gassman.

Ma voglio essere provocatorio: riconosco l'Arcionello anche nei cosiddetti "vuoti residuali"5 di cui parla Augé, spazi non riassorbiti dai cantieri dell'urbanistica contemporanea, luoghi che si sottraggono "all'arroganza del presente e all'evidenza del già qui". Interessanti proprio per il loro "anacronismo", per la loro "incompiutezza" che promette una qualche "rivelazione". L'Arcionello insomma come divertente lapsus, involontaria risposta a una domanda che nessuno ha posto: anche lo skyline delle mediocri palazzine anni '60-'70 che lo circondano dovrà far parte del Parco che i Cittadini chiedono al Sindaco di Viterbo; quegli edifici esprimono un alto valore pedagogico: testimoniano, immediatamente e meglio di cento libri, quanto incivile e immatura fu la nostra democrazia ai suoi tempi d'oro.

La battaglia continua, dicevo. Il Comune promette oggi due parchi pur contornati da nuove costruzioni. Noi controbattiamo che si tratta di semplici giardini pubblici. E che dunque non bastano. Un parco, un vero Parco non può ridursi a un'area attrezzata a verde. Un verde puramente ricreativo non può risarcire i Viterbesi dell'infelice città in cui si sono trovati a vivere. Non basta un giardino-appendice del cemento consumista. Un Parco è questione più alta, di identità e consapevolezza civica. Di pedagogia, appunto. Il parco dell'Arcionello dovrà contrapporre ai troppi parchi-frammento di questa Amministrazione, l'unità del paesaggio, l'identità della forra. Il Parco dell'Arcionello dovrà risalire da via Genova alle pendici del colle Palanzana, alle sorgenti dell'Urcionio, al pittoresco acquedotto d'inizio Novecento. I Viterbesi dovranno mostrare ai loro Amministratori la via del vero progresso, del bene condiviso. Premessa di felicità. Il Comune, dal canto suo, dovrà ritrovare il coraggio dell'onestà. Ma subito. Istituendo un'area protetta ben più vasta di quella del Programma Integrato. Vincolando le rovine. Progettando orti urbani, passeggiate-racconto, percorsi-natura ed un museo del territorio per la ricerca e la didattica (con recupero di aree agricole e casali abbandonati).6 Nella convinzione che un vero Parco sarà anzitutto una scommessa sul futuro di Viterbo. E che ogni passato, per quanto brutto, può essere trasformato.

Vorrei chiudere con un ultimo riferimento a Rovine e macerie. A un certo punto Augé parla di "utopie nere" e del tema-rovine nella fantascienza.7 Penso a due straordinari romanzi. Il primo è 2001 Odissea nello spazio. Nel corso del suo viaggio al termine dello spazio-tempo, il protagonista costeggia uno spazioporto abbandonato: "non era più un parcheggio spaziale: era un cosmico mucchio di rottami. [Egli] aveva mancato di epoche l'incontro con i costruttori e, rendendosene conto, provò un'improvvisa stretta al cuore".8 A un mancato rendez-vous col passato, e all'angoscia di quella stretta al cuore, mi viene da affiancare un appuntamento senza scampo col futuro: la disperazione di Charlton Heston folgorato dall'agnizione nel finale de Il pianeta delle scimmie:9 il pianeta Soror su cui è sbarcato non è che la Terra migliaia di anni dopo un'apocalisse nucleare. La scena si svolge ai piedi d'una Statua della Libertà mezza insabbiata e battuta dall'insensata risacca dell'oceano.

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1 Su queste iniziative (ed altre ancora) cfr. AA.VV. 2003, Arcionello - un parco per Viterbo da via Genova alla Palanzana, Stampa Alternativa, Roma; RICCI A. 2003, a cura di, Salviamo l'Arcionello - album di "famiglia", Malavoglia, Viterbo.

2 AUGÉ M. 2004, Rovine e macerie - Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino.

3 Cfr. CAMUS A. 1966, Saggi letterari - Il rovescio e il diritto, Nozze, L'estate, Bompiani, Milano, in part. pp. 66-67, 168 e 173; GIDE A. 1950, Viaggio al Congo e ritorno dal Ciad, Einaudi, Torino, in part. pp. 53-54, 137-138, 148 e 185.

4 AUGÉ 2004, p. 43.

5 AUGÉ 2004, pp. 89-91.

6 Cfr. AA.VV. 2003, passim (si tratta di un libro-mappa). Sulla necessità di superare il semplice "congelamento" delle rovine ai fini di una loro valorizzazione in chiave pedagogica cfr. RICCI A., Luoghi estremi della città. Il progetto archeologico tra "memoria" e "uso pubblico della storia", "Archeologia medievale", XXVI, 1999, in part. pp. 35-37 (A. sta per Andreina).

7 AUGÉ 2004, p. 97.

8 CLARKE A.C. 1968, 2001 Odissea nello spazio, Longanesi, Milano, p. 307.

9 Ma si tratta d'una felice invenzione di sceneggiatura: di questa stessa scena non c'è traccia nel romanzo (in un punto cruciale del quale incontriamo comunque le rovine di "una città sepolta sotto le sabbie di un deserto": BOULLE P. 1975, Il pianeta delle scimmie, Mondadori, Milano, p. 133).

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