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"Salviamo
l' Arcionello - Un Parco Da
Via Genova alla Palanzana Prima passeggiata-racconto a Fosso Luparo, Domenica 19 ottobre 2003 - altre notizie su TusciaWeb |
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LUNGO
IL RIVO - COMPARSATE
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TERZA
STAZIONE - AL MULINO - ACQUE LAVORO E ORGOGLIO CIVICO
(Maurizio)
Per Viterbo, il medioevo
fu mirabile tripudio d’acque, terre e lavoro.
“Mi
chiamo La Splendida - era scolpito su porta Sonsa, e riferito alla città intera - grande
è il mio nome, eterni i miei privilegi. Chiunque sia gravato da
condizione servile, se mio cittadino si faccia, sia considerato uomo
libero”.
(Massimiliano)
In un mare di luce
quasi greca, scesi i viterbesi fin nel cupo del loro botro - per
manometterne lo scorrimento, il gioco delle correnti - Viterbo
s’accese d’un processo senza requie: roccia eternamente vòlta
in-pietra-edificata; sudata, indaffarata, alacre, umìle ed opulenta
redenzione; costante sublimarsi, dal buio caotico, d’una natura
immonda (qui tanto generosa quant’aspra ed insondabile comunque, come
ovunque) in mondo rifinito.
Sfruttò,
Viterbo, l’esser collocata al centro del suo vasto tavolato, solcato,
non da un corso maggiore, ma da una rete fitta diffusa capillare, da una
maglia di ruscelli: tutti allettati in alvei poco fondi, favoriti però
dalla pendenza dei terreni.
(Olindo)
Fu
Viterbo una vera e propria Bruggia maremmana, seppur dissimulata: tutta
su righi d’acque esigue - quasi invisibili - ma risolte in fiduciose,
ingegnose opere d’irreggimentazione, in trama coerentissima (e
politicamente tutelata) di condotti sotterranei e canali all’aperto.
(Sara)
Fu Viterbo tutto un
fèrvere di captazioni (numerose e precoci anche a monte dell’abitato:
leghe bottini fossati), allacciamenti, deviazioni.
(Mariachiara)
Fu
Viterbo una macchina, una virile ratio idraulica, un vanto d’abbondanza idrica: fontane fontanili
lavatori, impianti molitori per il grano, conce per cuoiari, lanaroli e
magliatori, irrigazioni d’orti, coltura del lino e canapicoltura.
Mentre per altri siti era la sete.
(Michela)
Fu Viterbo, per
tutto il polmone urbano, un contrappunto di getti, zampilli, pale e
mole, un decidersi le quote e le ore dei prelievi dai balìvi, uno
scintillìo sonoro degli utensili.
(Maria
Chiara)
E fu Viterbo un
vociar d’uomini costante, giorno e notte. Interrotto d’un sùbito,
questo brusìo, se l’usuale docilità del fosso principale fosse
sconvolta da repentini straripamenti; mutato allora il chiacchiericcio
in grida, allarme, richiedere scomposto e sodale promettere, portare
soccorsi; piene con danni ingenti e morti nel 1223, 1344, 1377, 1437,
1454, 1467, 1493, 1530, 1706 e 1734: non poco, per un rio mai esistito.
(Maurizio)
Fu
infine - tutto questo - canto forte, tenace tanto. Tanto che ancora
canta il fosso dal testo dei nostri statuti ducenteschi, dalle preziose
carte dei nostri padri amati. A certezza che anche Viterbo - seppur un
giorno lontano, ormai muto - dovette essere viva. |
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