"Salviamo l' Arcionello - Un Parco per Viterbo"                                << 1-2

Da Via Genova alla Palanzana 2 passeggiate-racconto a cura di Antonello Ricci e Gruppo Teatr. "Volgiti, che fai"

Prima passeggiata-racconto a Fosso Luparo, Domenica 19 ottobre 2003 - altre notizie su TusciaWeb

 

LUNGO IL RIVO - COMPARSATE

 

M. Chiara

 

Che dirti, qui, Lettore? / un mondo di pervinche / presuole, salsefriche / di felci, vilucchioni / e di borrane / cicute agline, crecchie, panporcini / centauree, succiaméle ed agrifogli / costeggiano, viluppano, secondano / il corso al mio discorso: / anch’io canto nomi di carta / non lo dimenticare

Sara e Michela

 

Si sperde in cento rivoli, dispare

sotto cuscini di massi erratici, ristagna

sotto anse tortuose, precipita alla città:

Arcione, Urcionio.

La loro fonte sacra, interrata un po’ per volta,

seppero poi ridurla in chiavica a cielo aperto!

(il) cemento scudocrociato delle periferie,

(le) febbri edilizie della ricostruzione,

(la) merda e (le) orine d’una Viterbo bene.

Fosso Luparo, ruga misteriosa tanto amata-temuta,

nel suo parere vergine e isolata,

a tratti platealmente assaltata dalla marea edilizia.

 

TERZA STAZIONE - AL MULINO - ACQUE LAVORO E ORGOGLIO CIVICO

 

(Maurizio) Per Viterbo, il  medioevo fu mirabile tripudio d’acque, terre e lavoro.

“Mi chiamo La Splendida - era scolpito su porta Sonsa, e riferito alla città intera - grande è il mio nome, eterni i miei privilegi. Chiunque sia gravato da condizione servile, se mio cittadino si faccia, sia considerato uomo libero”.

 

(Massimiliano) In un mare di luce quasi greca, scesi i viterbesi fin nel cupo del loro botro - per manometterne lo scorrimento, il gioco delle correnti - Viterbo s’accese d’un processo senza requie: roccia eternamente vòlta in-pietra-edificata; sudata, indaffarata, alacre, umìle ed opulenta redenzione; costante sublimarsi, dal buio caotico, d’una natura immonda (qui tanto generosa quant’aspra ed insondabile comunque, come ovunque) in mondo rifinito.

 

Sfruttò, Viterbo, l’esser collocata al centro del suo vasto tavolato, solcato, non da un corso maggiore, ma da una rete fitta diffusa capillare, da una maglia di ruscelli: tutti allettati in alvei poco fondi, favoriti però dalla pendenza dei terreni.

 

(Olindo) Fu Viterbo una vera e propria Bruggia maremmana, seppur dissimulata: tutta su righi d’acque esigue - quasi invisibili - ma risolte in fiduciose, ingegnose opere d’irreggimentazione, in trama coerentissima (e politicamente tutelata) di condotti sotterranei e canali all’aperto.

 

(Sara) Fu Viterbo tutto un fèrvere di captazioni (numerose e precoci anche a monte dell’abitato: leghe bottini fossati), allacciamenti, deviazioni.

 

(Mariachiara) Fu Viterbo una macchina, una virile ratio idraulica, un vanto d’abbondanza idrica: fontane fontanili lavatori, impianti molitori per il grano, conce per cuoiari, lanaroli e magliatori, irrigazioni d’orti, coltura del lino e canapicoltura. Mentre per altri siti era la sete.

 

(Michela) Fu Viterbo, per tutto il polmone urbano, un contrappunto di getti, zampilli, pale e mole, un decidersi le quote e le ore dei prelievi dai balìvi, uno scintillìo sonoro degli utensili.

 

(Maria Chiara) E fu Viterbo un vociar d’uomini costante, giorno e notte. Interrotto d’un sùbito, questo brusìo, se l’usuale docilità del fosso principale fosse sconvolta da repentini straripamenti; mutato allora il chiacchiericcio in grida, allarme, richiedere scomposto e sodale promettere, portare soccorsi; piene con danni ingenti e morti nel 1223, 1344, 1377, 1437, 1454, 1467, 1493, 1530, 1706 e 1734: non poco, per un rio mai esistito.

 

(Maurizio) Fu infine - tutto questo - canto forte, tenace tanto. Tanto che ancora canta il fosso dal testo dei nostri statuti ducenteschi, dalle preziose carte dei nostri padri amati. A certezza che anche Viterbo - seppur un giorno lontano, ormai muto - dovette essere viva.

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Fosso Luparo 19-10-2003

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