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"Salviamo l' Arcionello - Un Parco per Viterbo" 1-2 Da
Via Genova alla Palanzana Seconda passeggiata-racconto all'Arcionello, Domenica 26 ottobre 2003 - altre notizie su TusciaWeb |
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SECONDA
COMPARSATA - VOCE
FUORI CAMPO PER CHI PASSA SUL SECONDO PONTE
(Olindo)
Quod omnes lege a
ponte Foffiano usque ad montem Lopagium destruàntur: et perpetuo
destructe permàneant!
"Siano
distrutte, e in perpetuo lo rimangano, tutte le leghe da Ponte Foffiano
a Monte Luparo!" - Olindo può accompagnare il frammento in latino
con qualcuno dei suoi effetti
speciali e farle seguire dalle
parole pasoliniane:
Questo
ponte da niente, così umile, va difeso con lo stesso accanimento, con
la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende
un'opera d'arte di un grande autore.
Oppure:
Noi
difendiamo questo passato anonimo / questo passato senza nome / questo
passato popolare. |
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TERZA
COMPARSATA - NEI PRESSI DELLA CARTIERA
(Maria Chiara) Pietro Discepoli, tipografo viterbese, ormai trentenne, aveva sposato in Roma, alla fine del 1616, Costanza, figlia del mercante fiorentino Girolamo Chellini, ed aveva impiegato la ragguardevole dote di 888 scudi nella costruzione in contrada Cuculo, di una moderna ed attrezzata cartiera, che ha funzionato fino ai primi del nostro secolo ed i cui ruderi ben conservati ancora oggi si vedono nella vallata sotto la Casa Ragonesi, all'inizio della strada per Montepizzo.
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QUARTA
STAZIONE - AI PIEDI DELLA CASCATELLA GRANDE
Terzo
intervento naturalistico
Tutti
possono leggere.
(Antonello)
I resti d'un mulino.
Erano lì da sempre, per noi - che, pure affacciati ormai sul Dopostoria,
ascoltavamo ancora i richiami d'un tempo millenario. Ricordo e non
ricordo. La primavera del Settantaquattro. Eleggevamo i nostri compagni
a maestri. Invitavamo le ragazze in bicicletta, ma venivamo via sempre
col pisello duro. In quegli interminabili pomeriggi ridiscendevamo
stanchi ed euforici alla nostra periferia piccolo-borghese, tra cortei
di palazzi-palazzinari che apparecchiavano la rivoluzione trionfante del
Vero Fascismo, una nuova sconvolgente Pedagogia di Cose. Forma seconda e
irrevocabile del tempo: un tempo smemorato, dove chi si muove lo fa
lungo una strada dritta e senza fine. Anche noi con mille lire in più
in saccoccia. Pensavamo fosse l'alba del Socialismo Consumista, era
invece l'inizio della fine.
(Michela
e Sara) Jo i
soj un muàrt di cà ch'al torna vuei Sinq di Mars dal 1974 ta un dì di
festa… Jo i resti fòur tra i roris rosa; drenti i òmis a rineghin li
vacis, drenti i òmis vifs, drenti i òmis a bandonin li cianis tal soc,
drenti i òmis nòufs e tris'c, a bandonin li cianis, drenti i òmis,
vifs, a volin zì e no tornà mai pìù.
(Antonello)
ci
spingiamo a perdifiato sul sentiero che costeggia il fosso
verso
monte
davanti
a tutti
Sandro,
che fanfaroneggia qualcosa
come
sempre
ovunque
farfaraccio: grande, coprente
vegetazione
stretta sull'acqua
quanto
verde sotto quel verde
noi
in fila indiana, di corsa
in
equilibrio da una sponda all'altra
piedi
nel fango, via via!, non fermarsi.
gli
schizzi, non fermarsi.
una
vipera! non fermarsi.
le
vipere! attenti alle vipere! (ma è un grido o un pensiero?
una
paura.)
non
fermarsi.
la
vipera che ti rincorre, che salta, che scende
dai
rami e ti colpisce.
non
fermarsi.
il
cuore in gola
e
invece, improvviso
uno
slargo quieto del fosso
una
radura
ai
piedi d'una cascatella che tonfa
e
noi
zitti
come scemi,
noi,
farfarelli spietati
incantati
per
un attimo
che
ne sappiamo, adesso
di
ridiscendere alla Città
per
vie di giovani palazzi, alti
alto
il sole sul pomeriggio di tarda primavera!
che
ne sappiamo di correre incontro alla Città
alle
case alle famiglie alle cene
che
ne sappiamo di precipitarci nelle nostre vite
che
ne sappiamo adesso
che
ne sappiamo
(Michela)
Levossi in
questo tempo su un Messer non so chi di quella Città, il quale era
riputato appresso il Papa;
(Livia)
e
per una sua cappella, che aveva fatto, in S. Francesco, fece fare a
Sebastiano un Cristo morto con una Nostra Donna che lo piagne.
(Sara)
Della quale opera
Michele Agnolo fece il cartone, e Sebastiano di colorito con diligenza
lo finì;
(Maurizio)
et
in quello fece un paese tenebroso, che fu tenuto bellissimo.
(Maria
Chiara) Questa
strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non
è niente, è un'umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe
opere d'arte, d'autore, stupende, della tradizione italiana; eppure, io
penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con
lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso
rigore con cui si difende un'opera d'arte di un grande autore.
(Olindo)
Si
deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima esattamente
come la poesia d'autore, come la poesia di Dante o di Petrarca.
(Massimiliano)
E così, il
punto dove porta questa strada, anche questo non è quasi nulla, vedi?
Sono delle mura semplici, dal colore così grigio, che in realtà
nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia per difendere questa cosa.
(Antonello)
Io
ho scelto invece, proprio di difendere questo passato anonimo
questo
passato senza nome
questo
passato popolare.
A
questo punto si invitano a seguitare solo i più intrepidi ((per la
ripidità del sentiero), gli altri possono intraprendere il ritorno.
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QUINTA
STAZIONE - AI PIEDI DELLA CASCATELLA PICCOLA
È
un itinerario lungo l'intestino della nostra cattiva coscienza
consumista: rifiuti e tanfo.
(Antonello)
Adesso
guarda tu, dice Francesco, e si fa da parte. Che cosa vedi?
Che
vedo? Un vecchio pitale di malta scrostata, un bricco ammaccato color
arancio, da caffellatte, il rudere gambe all'aria d'un passeggino,
qualche tanica sfondata dalla ruggine che spunta su alla rinfusa dal
tappeto di rovi e ortiche, da un mucchio di tronchi fradici, dalla mota
del rivo. Sono le mille e mille immondizie raccolte ovunque, a monte,
dall'impennata di qualche piena, trascinate per un po' dalla corrente
irosa, fino alla luce verde-giorno di questo anfiteatrino.
No,
l'inquadratura devi pensarla più stretta, ammonisce Francesco, si vedrà
solo l'angolo in fondo con l'acqua che precipita, il resto scompare.
Solo la cascatella col suo tonfo.
Il
rivo, a questo punto, s'è già lasciato indietro la vecchia cava e il
ponticello in peperino. Dopo il salto, il filo del torrente riprende il
suo corso a valle, gorgogliando spensierato. Tra non molto, ai piedi del
primo condominio, la sua sinuosa incantagione s'infognerà, per
degradarsi a intestino smemorato della Città, a coscienza sporca del
nostro consumismo.
Sì.
Ma da quassù la Città, grigia nelle sue mura laviche, serrata nel suo
orgoglio medioevale, la Città, col fardello della sua storia, resta
lontana - impensabile.
La
forza di questa cascatella dovette essere messa a frutto, in passato,
irreggimentata per un opificio di cui restano tracce numerose: sul nudo
masso da cui piove l'acqua, infatti, si lègge bene il lavorìo del
piccone che volle roderne spigoli e curve. Dove la rupe fa angolo
s'incontra con un'alta muraglia di conci. Solo ora la vedo: una
tessitura leggermente sconnessa, quasi un'onda si propagasse attraverso
quei filari, deformandola. Sarà
stata la spinta dell'acqua a piegarla, giorno per giorno. Il
biancore schiumoso della vita. È
un'immagine bellissima. Ecco che cosa vedo. Dico a Francesco che ho capito. Ma lui sorride: ha già cliccato.
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