"Salviamo l' Arcionello - Un Parco per Viterbo"                                 << 1-2

Da Via Genova alla Palanzana 2 passeggiate-racconto a cura di Antonello Ricci e Gruppo Teatr. "Volgiti, che fai"

Seconda passeggiata-racconto all'Arcionello, Domenica 26 ottobre 2003 - altre notizie su TusciaWeb

 

SECONDA COMPARSATA - VOCE FUORI CAMPO PER CHI PASSA SUL SECONDO PONTE

 

(Olindo) Quod omnes lege a ponte Foffiano usque ad montem Lopagium destruàntur: et perpetuo destructe permàneant!

 

"Siano distrutte, e in perpetuo lo rimangano, tutte le leghe da Ponte Foffiano a Monte Luparo!" - Olindo può accompagnare il frammento in latino con qualcuno dei suoi effetti speciali e farle seguire dalle parole pasoliniane:

 

Questo ponte da niente, così umile, va difeso con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un'opera d'arte di un grande autore.

 

Oppure:

 

Noi difendiamo questo passato anonimo / questo passato senza nome / questo passato popolare.

 

TERZA COMPARSATA - NEI PRESSI DELLA CARTIERA

 

(Maria Chiara) Pietro Discepoli, tipografo viterbese, ormai trentenne, aveva sposato in Roma, alla fine del 1616, Costanza, figlia del mercante fiorentino Girolamo Chellini, ed aveva impiegato la ragguardevole dote di 888 scudi nella costruzione in contrada Cuculo, di una moderna ed attrezzata cartiera, che ha funzionato fino ai primi del nostro secolo ed i cui ruderi ben conservati ancora oggi si vedono nella vallata sotto la Casa Ragonesi, all'inizio della strada per Montepizzo.

 

(Antonello)

Viaggiando veloce verso sud nell'alba

tra i muretti di un'alta campagna, fredde ancora le rocce,

riverberi di pioggia balenanti innanzi qua e là,

 

dopo una curva ho incontrato una volpe, ferma,

faccia a faccia nel bel mezzo della strada.

M'è scoppiato dentro un che di selvatico quando s'è appiattita

 

e poi filava via in una fulva fuga rasoterra.

Oh, testa nitida, favoleggiata coda, e occhio attonito

in cui irruppe la mia bianca Peugeot col mattino!

 

Venga pure la rinascita per acqua, per desiderio,

o indietreggiando carponi sul piancito d'una clinica:

ripassare dovrò attraverso quell'iride allibita.

 

(Massimiliano)

Travelling south at dawn, going full out

Through high-up stone-wall country, the rocks still cold,

rainwater gleaming here and there ahead,

 

I took a turn and met the fox stock still,

Face to face in the middle of the road.

Wildness tore through me as he dipped and wheeled

 

In a level-running tawny breakaway.

O neat head, fabled bush and astonished eye

My white Peugeot flared into with morning!

 

Let rebirth come through water, through desire,

Through crawling backways across clinic floors:

I have to cross back through that startled iris.

 

 

QUARTA STAZIONE - AI PIEDI DELLA CASCATELLA GRANDE

 

Terzo intervento naturalistico

 

Tutti possono leggere.

 

(Antonello) I resti d'un mulino. Erano lì da sempre, per noi - che, pure affacciati ormai sul Dopostoria, ascoltavamo ancora i richiami d'un tempo millenario. Ricordo e non ricordo. La primavera del Settantaquattro. Eleggevamo i nostri compagni a maestri. Invitavamo le ragazze in bicicletta, ma venivamo via sempre col pisello duro. In quegli interminabili pomeriggi ridiscendevamo stanchi ed euforici alla nostra periferia piccolo-borghese, tra cortei di palazzi-palazzinari che apparecchiavano la rivoluzione trionfante del Vero Fascismo, una nuova sconvolgente Pedagogia di Cose. Forma seconda e irrevocabile del tempo: un tempo smemorato, dove chi si muove lo fa lungo una strada dritta e senza fine. Anche noi con mille lire in più in saccoccia. Pensavamo fosse l'alba del Socialismo Consumista, era invece l'inizio della fine.

 

(Michela e Sara) Jo i soj un muàrt di cà ch'al torna vuei Sinq di Mars dal 1974 ta un dì di festa… Jo i resti fòur tra i roris rosa; drenti i òmis a rineghin li vacis, drenti i òmis vifs, drenti i òmis a bandonin li cianis tal soc, drenti i òmis nòufs e tris'c, a bandonin li cianis, drenti i òmis, vifs, a volin zì e no tornà mai pìù.

 

(Antonello) ci spingiamo a perdifiato sul sentiero che costeggia il fosso

verso monte

davanti a tutti

Sandro, che fanfaroneggia qualcosa

come sempre

ovunque farfaraccio: grande, coprente

vegetazione stretta sull'acqua

quanto verde sotto quel verde

noi in fila indiana, di corsa

in equilibrio da una sponda all'altra

piedi nel fango, via via!, non fermarsi.

gli schizzi, non fermarsi.

una vipera! non fermarsi.

le vipere! attenti alle vipere! (ma è un grido o un pensiero?

una paura.)

non fermarsi.

la vipera che ti rincorre, che salta, che scende

dai rami e ti colpisce.

non fermarsi.

il cuore in gola

 

e invece, improvviso

uno slargo quieto del fosso

una radura

ai piedi d'una cascatella che tonfa

e noi

zitti come scemi,

noi, farfarelli spietati

incantati

per un attimo

 

che ne sappiamo, adesso

di ridiscendere alla Città

per vie di giovani palazzi, alti

alto il sole sul pomeriggio di tarda primavera!

 

che ne sappiamo di correre incontro alla Città

alle case alle famiglie alle cene

che ne sappiamo di precipitarci nelle nostre vite

 

che ne sappiamo adesso

 

che ne sappiamo

 

(Michela) Levossi in questo tempo su un Messer non so chi di quella Città, il quale era riputato appresso il Papa;

 

(Livia) e per una sua cappella, che aveva fatto, in S. Francesco, fece fare a Sebastiano un Cristo morto con una Nostra Donna che lo piagne.

 

(Sara) Della quale opera Michele Agnolo fece il cartone, e Sebastiano di colorito con diligenza lo finì;

 

(Maurizio) et in quello fece un paese tenebroso, che fu tenuto bellissimo.

 

(Maria Chiara) Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, è un'umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d'arte, d'autore, stupende, della tradizione italiana; eppure, io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un'opera d'arte di un grande autore.

 

(Olindo) Si deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima esattamente come la poesia d'autore, come la poesia di Dante o di Petrarca.

 

(Massimiliano) E così, il punto dove porta questa strada, anche questo non è quasi nulla, vedi? Sono delle mura semplici, dal colore così grigio, che in realtà nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia per difendere questa cosa.

 

(Antonello) Io ho scelto invece, proprio di difendere questo passato anonimo

questo passato senza nome

questo passato popolare.

 

A questo punto si invitano a seguitare solo i più intrepidi ((per la ripidità del sentiero), gli altri possono intraprendere il ritorno.

 

 

QUINTA STAZIONE - AI PIEDI DELLA CASCATELLA PICCOLA

 

È un itinerario lungo l'intestino della nostra cattiva coscienza consumista: rifiuti e tanfo.

 

(Antonello) Adesso guarda tu, dice Francesco, e si fa da parte. Che cosa vedi?

Che vedo? Un vecchio pitale di malta scrostata, un bricco ammaccato color arancio, da caffellatte, il rudere gambe all'aria d'un passeggino, qualche tanica sfondata dalla ruggine che spunta su alla rinfusa dal tappeto di rovi e ortiche, da un mucchio di tronchi fradici, dalla mota del rivo. Sono le mille e mille immondizie raccolte ovunque, a monte, dall'impennata di qualche piena, trascinate per un po' dalla corrente irosa, fino alla luce verde-giorno di questo anfiteatrino.

No, l'inquadratura devi pensarla più stretta, ammonisce Francesco, si vedrà solo l'angolo in fondo con l'acqua che precipita, il resto scompare. Solo la cascatella col suo tonfo.

Il rivo, a questo punto, s'è già lasciato indietro la vecchia cava e il ponticello in peperino. Dopo il salto, il filo del torrente riprende il suo corso a valle, gorgogliando spensierato. Tra non molto, ai piedi del primo condominio, la sua sinuosa incantagione s'infognerà, per degradarsi a intestino smemorato della Città, a coscienza sporca del nostro consumismo.

Sì. Ma da quassù la Città, grigia nelle sue mura laviche, serrata nel suo orgoglio medioevale, la Città, col fardello della sua storia, resta lontana - impensabile.

La forza di questa cascatella dovette essere messa a frutto, in passato, irreggimentata per un opificio di cui restano tracce numerose: sul nudo masso da cui piove l'acqua, infatti, si lègge bene il lavorìo del piccone che volle roderne spigoli e curve. Dove la rupe fa angolo s'incontra con un'alta muraglia di conci. Solo ora la vedo: una tessitura leggermente sconnessa, quasi un'onda si propagasse attraverso quei filari, deformandola. Sarà stata la spinta dell'acqua a piegarla, giorno per giorno. Il biancore schiumoso della vita. È un'immagine bellissima. Ecco che cosa vedo.

Dico a Francesco che ho capito. Ma lui sorride: ha già cliccato.

 

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Fosso Luparo 19-10-2003

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