Artisti a fosso Luparo (nel Parco che c'è già)
A cura
di
Elisabetta Cristallini (Storia dell'Arte Contemporanea, Facoltà di
Beni Culturali, Università della Tuscia - Viterbo)
“Ricordo un giorno di maggio che raggiunsi Viterbo per il Cimino e il
lago di Vico. Case isolate nelle prospettive spaziose, simili a
fortilizi, con un alto muro di cinta intorno al giardino adiacente;
torri-vedetta che spuntavano tra i castagni; le rocce pittoresche
traforate di spechi, tondeggianti e poco profondi; borghi scuri di tufo,
ville di principi, fontane monumentali, greggi di pecore, pastori; e
intorno il rosso paonazzo dell’erba medica, il rosso vivo dei papaveri,
il turchino dei fiordalisi, il violetto dei cardi sugli steli argentati,
il giallo risplendente delle ginestre. Il giallo oro, il purpureo, il
paonazzo, il violetto; anche la natura vestita dai colori più ricchi, i
colori cardinalizi, di vetrata o di paramento…”
Sono
passati quasi 50 anni da quando Guido Piovene scriveva queste note per
il suo Viaggio in Italia. Molte cose sono cambiate da allora, ma
la valle dell’Arcionello-fosso Luparo, in anni in cui il paesaggio
ambientale e artistico italiano ha subito scempi inenarrabili, ha saputo
mantenere inalterato l’aspetto di un tempo. Qui tra il monte della
Palanzana e il fosso Luparo-Urcionio, la natura rinselvatichita lascia
ancora scorgere preesistenze antropizzate che ci parlano di antiche
attività, dalle cave al mulino alla cartiera ai bottini.
La
necessità di tutelare, conservare e valorizzare questo complesso, dove
natura e cultura si integrano in un insieme di grande fascino, farne
un’area protetta istituendo un Parco è, come diceva Cesare Brandi, un
problema non di politica ma di civiltà. Ecco perché con l’iniziativa
Artisti a fosso Luparo di fatto il Parco esiste già. Gli artisti
invitati, con le loro pratiche artistiche rispettose del luogo,
producono azioni libere di iniziazione alla creatività, chiamano il
pubblico ad un’esperienza diversa dell’ambiente, fatta di sconfinamenti
e contaminazioni tra natura/arte/vita, attuano un’operazione di
visualizzazione culturale e così facendo dichiarano la realtà del
Parco. Nella passeggiata che si snoda salendo tra antiche rocce di
peperino e grandi castagni per poi scendere tra prati punteggiati da
ciclamini e crochi violetti, giù fino al Fosso Luparo e alla Cittadella
delle acque vedremo le figure stilizzate fatte di ramoscelli e foglie di
salice intrecciati di Anne Demijttenaere, il percorso rilevato con il
sistema satellitare da Costantino Morosin e riportato in scala con fili
di lana colorata, le misteriose e arcaiche iscrizioni di Francesco
Narduzzi, Mario Ciccioli che, accompagnato dal flauto di Giovanna Di
Corpo, usa rare conchiglie e corni di tori maremmani per creare luoghi
d’ascolto, le inquietanti grandi formiche di Stefano Di Maulo, la
luminosa, esile, ma forte, ragnatela stellare (o fiore di brina di
Manuela Feliziani, i nidi di legno e corda di Ireneo Melaragni, le
performances teatrali e musicali dei giovani artisti del gruppo Off Art
(Officina delle Arti) e di Margherita Vestri del Cut (Centro
universitario teatrale) di Viterbo.